La geolocalizzazione dei lavoratori
Feb 27, 2023
Nel 2018 il Garante per la protezione dei dati è intervenuto sul tema della geolocalizzazione dei mezzi aziendali con diversi provvedimenti.
In particolare, attraverso una verifica preliminare e con provvedimento n. 232 del 18 aprile 2018, ha ammesso la geolocalizzazione del personale di una società che effettuava servizi di vigilanza privata e trasporto valori, ma solo al fine di garantire la sicurezza delle pattuglie e l’ottimizzazione degli interventi.
Vista le delicatezza del tema ha fornito diverse indicazioni a tutela dei diritti dei lavoratori interessati e in particolare ha disposto che:
- sui dispositivi aziendali fosse posizionata un'icona che indicasse quando la funzionalità della localizzazione era attiva;
- fosse prevista la disattivazione della localizzazione durante le pause dall’attività lavorativa, informando i dipendenti sui casi in cui fosse consentito disattivare il gps e sulle conseguenze di eventuali abusi;
- la società configurasse, al fine di minimizzare il rischio di accesso ai dati non necessario e/o non pertinente (a fronte di una periodizzazione assai ravvicinata della rilevazione geografica dei dispositivi), il sistema in modo da oscurare la visibilità della posizione geografica decorso un periodo determinato di inattività dell’operatore sul monitor presente nella centrale operativa.
Nello stesso periodo, grazie alla segnalazione di un dipendente di una società che utilizzava il servizio di localizzazione sulla propria flotta aziendale, il Garante con provvedimento n. 396 del 28 giugno 2018, ha potuto esprimersi sul tema ingiungendo, per la prima volta, a un fornitore di servizi di geolocalizzazione di configurare - in base al principio di privacy by design e by default – le funzionalità del prodotto, attenendosi al principio di minimizzazione dei dati.
Nello specifico ha indicato che il servizio “standard” avrebbe dovuto essere rimodulato con particolare riguardo agli intervalli temporali di rilevazione della posizione geografica dei veicoli e ai tempi di conservazione dei dati oltre che alla memorizzazione e messa a disposizione delle mappe di tutti i percorsi effettuati.
In controtendenza rispetto a questo approccio intransigente del Garante Italiano sull'utilizzo dei sistemi di controllo e monitoraggio quando questi possano incidere sul rispetto della dignità del lavoratore o della sua sfera privata, è intervenuta, di recente, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che ha rivoltato le carte in tavola, stabilendo che il licenziamento intimato al dipendente da parte del datore di lavoro, basato sulle risultanze del sistema di geolocalizzazione gps dell’auto aziendale in uso al dipendente, è legittimo e la raccolta e il trattamento dei relativi dati non comportano una violazione dei diritti del lavoratore come sanciti dalla Convenzione dei Diritti dell’Uomo.
Si tratta della sentenza pronunciata in seguito alla domanda n. 26968/16 e depositata il 13 dicembre 2022 (caso Florindo de Almeida Vasconcelos Gramaxo v. Portogallo) che oltre ad aver giudicato, appunto, legittimo il licenziamento di un dipendente, deciso a causa dei dati ottenuti attraverso la localizzazione dell'auto aziendale, ha anche analizzato il tipo e il livello di sorveglianza “accettabile” da parte di un datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, fissando i criteri per il giusto bilanciamento tra diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata e le prerogative del datore di lavoro in termini di controllo sul corretto impiego dei beni aziendali; ha altresì affrontato la questione della necessità di preservare la privacy individuale in un contesto professionale.
Il caso riguarda il licenziamento di un informatore scientifico di un'azienda farmaceutica portoghese, che aveva assegnato al proprio dipendente, a causa della mobilità che il lavoro comportava, un'auto ad uso promiscuo.
A distanza di tempo sull'auto era stato installato un sistema gps e in seguito ad un controllo dei dati raccolti da questo, era emerso che il dipendente aveva manomesso il funzionamento del sistema per far risultare un impiego del mezzo per motivi di lavoro superiore a quello effettivo e un impiego per motivi privati inferiore, al fine di ridurre i costi a proprio carico e per questo era stato licenziato.
Il dipendente ha così impugnato il provvedimento ma dall'istruttoria del procedimento conseguente era emerso che l'azienda aveva chiaramente informato i dipendenti dell'installazione del dispositivo di localizzazione e che la finalità perseguita dall'implementazione di questo era legata sia alla sicurezza del veicolo e dei suoi passeggeri sia al controllo dei chilometri percorsi per la corretta contabilizzazione delle spese aziendali.
L'azienda aveva altresì ben chiarito che la discrasia fra i dati rilevati dal sistema gps e quelli rilevati dai dipendenti avrebbe portato all'apertura di un procedimento disciplinare.
Sia in primo grado che in appello, i giudici hanno dato torto al dipendente che, esauriti i rimedi interni ha adito la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sostenendo che il trattamento dei dati di geolocalizzazione raccolti dal dispositivo GPS che il suo datore di lavoro aveva installato sull'auto aziendale e il fatto che tali dati avessero costituito la base per il suo licenziamento, e quindi la perdita della maggior parte dei mezzi di sostentamento della sua famiglia, avevano violato il suo diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione.
Ha lamentato altresì la violazione dell'art. 6 (diritto a un giusto processo) poiché le decisioni dei giudici di primo grado si erano basate sui dati raccolti dal dispositivo gps, prova che il ricorrente riteneva illecita e, dunque, non utilizzabile in sede processuale.
La Corte ha però ricordato i principi generali relativi all'applicabilità dell'articolo 8 in un contesto lavorativo e ha ribadito che «se lo scopo dell'articolo 8 è essenzialmente quello di proteggere l'individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche, esso non si limita a richiedere allo Stato di astenersi da tali interferenze: oltre a questo obbligo negativo, possono esistere obblighi positivi inerenti al rispetto effettivo della vita privata o familiare. Tali obblighi possono richiedere l'adozione di misure volte al rispetto della vita privata anche nelle relazioni tra individui. La responsabilità dello Stato può quindi essere chiamata in causa se gli atti in questione derivano dall'incapacità di garantire agli interessati il godimento dei diritti sanciti dall'articolo 8 della Convenzione».
Ha poi affermato che il rispetto di questi obblighi imposti dall'art. 8 richiede che lo Stato adotti un quadro normativo a tutela del diritto in questione.
E per quel che concerne il tema della sorveglianza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, gli Stati possono scegliere se munirsi o meno di una legislazione ad hoc ma « spetta ai tribunali nazionali garantire che l'introduzione da parte di un datore di lavoro di misure di sorveglianza che incidono sul diritto alla vita privata sia proporzionata e accompagnata da garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi».
Nel caso di specie il giudice portoghese – ha rilevato la Corte EDU – ha effettivamente bilanciato il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata con il diritto del datore di lavoro di garantire il corretto funzionamento dell'azienda e la corretta contabilizzazione delle spese.
La Corte EDU ha quindi concluso che i giudici nazionali hanno adempiuto all'obbligo di tutelare il diritto del dipendente al rispetto della sua vita privata.
La Corte ha poi fornito una serie di indici di cui i giudici nazionali devono tenere conto per bilanciare correttamente gli interessi in gioco:
(i) Il lavoratore è stato informato della possibilità che il datore di lavoro adotti misure di sorveglianza e dell'introduzione di tali misure? L'informazione sulla natura della sorveglianza dovrebbe essere chiara e fornita prima della sua attuazione.
ii) Qual è stata la portata della sorveglianza del datore di lavoro e il grado di intrusione nella vita privata del dipendente? Occorre valutare la privacy del luogo in cui avviene la sorveglianza, i limiti spaziali e temporali della sorveglianza e il numero di persone che hanno accesso ai dati relativi alla sorveglianza.
iii) Il datore di lavoro ha giustificato l'uso della sorveglianza e la portata della stessa per motivi legittimi?Più è intrusiva, più le motivazioni alla base della sorveglianza devono essere serie.
iv) Era possibile istituire un sistema di sorveglianza basato su mezzi e misure meno intrusivi? Ovvero l'obiettivo perseguito dal datore di lavoro avrebbe potuti essere raggiunto con una minore ingerenza nella vita privata del dipendente?
v) Quali sono state le conseguenze della sorveglianza per il dipendente che vi è stato sottoposto? Cioè come il datore di lavoro utilizza i risultati della misura di sorveglianza e se questi siano serviti allo scopo dichiarato della misura.
vi) Sono state fornite adeguate garanzie al dipendente?
A questo proposito, la Corte EDU ha osservato innanzitutto che i giudici nazionali hanno correttamente identificato gli interessi in gioco: da un lato, al diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata e, dall'altro, al diritto del suo datore di lavoro di controllare le spese derivanti dall'uso dei veicoli affidati ai suoi dipendenti.
La Corte ha poi accertato che il ricorrente fosse stato informato dell'istallazione sul veicolo che gli era stato fornito, del dispositivo GPS: questo, infatti aveva firmato un'informativa che la società aveva inviato ai dipendenti interessati sulle ragioni di questa misura e sulle conseguenze disciplinari in caso di condotte illecite.
Nessun dubbio, quindi poteva sorgere, sul fatto che il dipendente fosse a conoscenza dell'installazione del sistema gps atto a monitorare i chilometri percorsi.
In secondo luogo, la Corte ha osservato che il ricorrente è stato licenziato dal suo datore di lavoro sia per aver aumentato il numero di chilometri percorsi per motivi di lavoro al fine di nascondere i chilometri percorsi per scopi privati e per non aver rispettato gli obblighi di orario di lavoro, sia per aver ostacolato il funzionamento del sistema GPS.
La Corte ha inoltre ritenuto che, conservando solo i dati di geolocalizzazione relativi al chilometraggio percorso, la portata dell'intrusione nella vita privata del ricorrente si sia ridotta a quanto strettamente necessario per lo scopo legittimo perseguito, ossia il controllo delle spese aziendali.
La diffusione di questi dati è stata poi limitata ai responsabili dell'assegnazione e dell'approvazione delle visite e delle spese.
Per questi motivi la Corte ha ritenuto che non vi sia stata alcuna violazione né dell'articolo 8 della Convenzione, né dell'art. 6.
Questa decisione della Corte EDU si iscrive fra i precedenti più importanti in tema di controllo del dipendente tramite sistemi di geolocalizzazione e fissa i criteri per il giusto bilanciamento tra il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata e le prerogative dell'impresa.
Si rileva quanto questa pronuncia sia ben più permissiva rispetto ai provvedimenti sopra esaminati del Garante della Privacy italiano e come, alla luce di questi principi espressi dalla Corte, si potrebbero aprire spazi per orientamenti simili anche nostro paese.
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